La rete racchiude nelle mani agili e pazienti delle donne di Montisola
una storia infinita. Impossibile risalire a quando ebbe inizio questa
attività, sicuramente come complemento della pesca, diventò
la ragione stessa del vivere sul lago e protagonista principale
della storia di Montisola. La semplice e funzionale tecnica del
nodo diviene, nella lavorazione delle moltissime e complesse qualità
di reti, un capolavoro d'arte.
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Peschiera, 1905 |
Le donne di Monteisola sono state di generazione
in generazione le protagoniste principali di una storia che all'uomo
affidava la sfida sul lago e alla donna l'abilità di costruire
uno strumento indispensabile e determinate per il pescatore: la
rete.
La donna ha sempre rivestimento quindi in questo territorio un'importanza
determinante, non valeva a Montisola la considerazione che il mondo
contadino aveva la femmina, meno muscoli a disposizione, una bocca
in più da sfamare un animale dal rendimento inferiore, per
il pescatore e il contadino di questo territorio, una femmina rappresentava,
una benedizione.
Una casa piena di femmine era un laboratorio che produceva strumenti
per un vasto mercato.
Forse le donne di Montisola erano già abili retaie quando
intrecciavano reti per la "piscaria di S. Giulia" o forse
lo erano ancora prima quando i romani insediati nelle belle dimore
sul Sebinius utilizzavano la rete per caccia pesca e battaglie.
L'ago, (la ocia) lo strumento principale per tessere
la rete a mano ancora in uso oggi a Montisola, mantiene la stessa
forma e gli stessi accorgimenti di quelli rinvenuti negli scavi
archeologici a Pompei, ed è presente in vari musei italiani
ed esteri fra reperti romani.
L'ago usato dai pescatori nell'Italia meridionale e sulle coste
del Mediterraneo ha invece una forma diversa è simile a quello
tuttora in uso nel mondo orientale.
Sarà l'archeologia a confermare se con giusta ragione, Montisola,
possa rivendicare l'origine di questa attività anche se oggi
non è possibile percepirne l'immagine così immediata
ed il legame così forte come lo testimoniano queste vecchie
fotografie o le descrizioni che le corredavano i giornali dell'epoca
"Reti sostenute da pale di remi incrociate, reti appese a tronchi
d'albero, reti distese lungo pareti di case sbrecciate. Reti che
fan capolino dagli usci delle case, reti che allungano, quasi manti
di antiche regine, il loro bianco strascico per le vie, per i vicoli,
per le piazzette".
Documenti e citazioni che risalgono al 1400 comprovano che questa
attività a Montisola era già affermata e non solo
nell'antichità della pesca ma anche per il suo utilizzo nel
campo della caccia.
Nel XIII secolo cominciò ad affermarsi la caccia con le "uccellande"
e i "roccoli" e si sviluppò soprattutto in Lombardia
particolarmente nelle province di Brescia e Bergamo.
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Peschiera, 1960 |
II lago d'Iseo, in posizione strategica all'inizio
delle prealpi, si trova in una situazione adatta al momento del
"ristoro" degli uccelli che vengono dall'Africa al centro
Europa. Queste montagne che si trasformano in colli sempre più
dolci, sono da sempre un luogo di passo dove l'uomo era appostato
con reti chiamate appunto "brescianelle" o "prussiane",
che si diffusero poi notevolmente nel Veneto e in Toscana, procurando
una grande domanda di reti, e la risposta era Montisola dove i suoi
fabbricatori di reti furono i primi espositori ed esportatori in
tutto il mondo.
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Peschiera, Loc. Ere 1930 |
Si legge nella descrizione dell'esposizione
a Brescia del 1905 di Arnaldo Gnaga "le fabbriche di reti bresciane
oltre che la provincia servono ogni foggia di reti l'Italia tutta,
comprese l'isole e la colonia e noi vedemmo non poche commissioni
anche per l'estero, fin per le lontane Americhe".
Zanardelli nel 1857 scriveva "Nel Monte d'Isola forse mille
persone lavorano instancabilmente di reti, ingrata fatica retribuita
con guadagno veramente infinitesimale poiché quella povera
gente riceve 5 centesimi per 2400 macchie, cioè gruppi di
rete!".
Anche uno dei "mille" che seguì Garibaldi pure
in altre battaglie era un artigiano retaio di Montisola che aveva
aperto a Bergamo un laboratorio di reti, si legge nella biografia
di Bortolo Tomasi"nella nativa isoletta del lago d'Iseo imparò
a fabbricare reti di pesca e da uccelli e venne a esercitare il
suo mestiere a Bergamo".
La romantica scrittrice francese George Sand che in quel periodo
soggiornava a Monte Isola fu sicuramente colpita da questa attività
così dirompente, e nel suo romanzo "Lucrezia Floriani"
scritto sulle rive del Sebino la sua eroina muore sulla stessa sedia
dove da ragazzina tesseva la rete.
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Carzano, 1964 |
Erano le mani delle montisolane che tessevano
le reti per le tenute di personaggi famosi: papi, rè, nobili,
anche il Manzoni che aveva i "roccoli" a Lecco, si riforniva
di reti presso gli artigiani di Montisola In Valtrompia e in Franciacorta
vi erano le uccellande dei nobili bresciani, di vescovi e cardinali
(a Nigoline vi era la brescianella del vescovo Bonomelli).
Oltre che curare tutti questi grandi impianti, i reticiai ritiravano
dopo la stagione le reti rotte che rammendatrici montisolane sapevano
riparare sapientemente. La produzione di reti da caccia e pesca
si sviluppa rapidamente, esce dai confini lacustri e da quelli italiani.
Nel "700" "800" e nel periodo di queste significative
immagini, la popolazione di Monte Isola sembra essere quasi tutta
completamente occupata nella tessitura delle reti. Ogni famiglia
era un laboratorio.
In primavera ed estate la piazza, la strada diventavano il luogo
dove, posate sedie e tavoli, si lavora tutti insieme.
Le fibre utilizzate erano quelle naturali: cotone, lino, canapa,
a volte le reti molto grandi occupavano l'intera piazzetta del paese.
La rete diventa così l'elemento principale che lega fin dal
loro sorgere le piccole comunità di questo territorio. Soli
su un isola con gli stessi problemi di sopravvivenza, gli abitanti
avevano costituito tre gruppi socioeconomici ben distinti con modi
di vivere diversi e differenti rapporti con il lago. A Carzano e
Peschiera il lago, le barche erano le porte di casa, fra barca e
casa non c'era distinzione, la vita si svolgeva a stretto contatto
con l'acqua.
I minatori delle frazioni a mezza costa che si recavano nelle cave
di Tavernola e Sarnico, erano anch'essi dipendenti dall'acqua che
attraversavano ogni giorno sui i loro barconi a quattro remi, ma
quello era un rapporto quasi ostile, così pure quello verso
i pescatori. I contadini che costituivano i restanti sei paesi sparsi
sulla montagna, attraversavano il lago raramente, i loro rapporti
con i pescatori riguardavano lo scambio dei prodotti agricoli con
il pesce.
Il filo che univa queste piccole comunità era quello annodato
dalla rete. Tutti ne erano esperti tessitori, uomini e donne, tutti
avevano uno strumento comune: l'ago.
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Peschiera, 1962 |
La rete legata ad un bastone, si poteva fare
mentre, seduti su grossi sassi o muretti si guardava pascolare gli
animali, oppure si portava nei campi una seggiolina (scagnina)
dove si arrotolavano le nasse (i barteèi) a
due o più inganni, le lavorazioni più facili da trasportare.
Quando era possibile, insieme si lavorava meglio: le mani, le dita,
erano agilissime nell'annodare il filo che scorreva dalle matasse
(mesane) avvolte sul tornèl e i gesti così
normali e quotidiani erano interiorizzati. Si imparavano quasi per
gioco fin dalla più tenera età ed era difficile dimenticarsene.
Le reti finite si portavano nei laboratori di Siviano, Peschiera
e Carzano, dove si ritirava il filo, le strette mulattiere che collegavano
le frazioni di Monte Isola erano così sempre movimentate
montate da carri che trasportavano non solo fieno e letame ma soprattutto
filati e reti finite. Anche i bambini erano un mezzo di trasporto
sempre in movimento carichi di matasse di filo o di reti finite.
Questi frequentissimi scambi di filo-rete avvicinavano sempre di
più queste piccole comunità in una specializzazione
che era stata e continuava ad essere la loro storia, impedendo un
isolamento che poteva essere più profondo di quello creato
dall'acqua.
II legame creatosi così tra i montisolani e la rete diventa
molto più importante dei risultati economici anche se questo
tipo di attività rappresentò e rappresenta ancora
una si sposta economica non indifferente.
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Siviano 1952, tre generazioni
intorno allo stesso tavolo |
Sulle porte delle case, presso le barche dondolanti,
lungo le viuzze strettissime e sulle intere piazzuole di tipo veneziano,
vedo numerose famiglie, con le nonne e i nonni, in testa a rozzi
tavoli e donne, bambine, ragazzetti, intenti a tesser reti, ad aggiustarle,
a rammendarle, a districarle, ad asciugarle, a stirarle, ad armarle,
a tingerle.
La loro casa è lì vicina, spalancate finestre e porte,
vuota, come disabitata. La famiglia è al lavoro dalle cinque
del mattino; e quindi non ci sono turni. Saranno cinquanta persone
tra vecchie, adulti e piccini. Il regiù, il reggitore, il
capoccia, lo chiamano scherzosamente "Cadorna". Salvo
le mezz'orette per i pasti molto sobri, tutti lavorano fino a sera;
e circa la metà anche dopo cena fino a mezzanotte. Il lavoro
è arduo, minuto: occhi fissi, dita agilissime, schiene curve,
rapidità incredibile nel maneggio delle forbici per tagliare
nodi e fili e cime". Questa descrizione dello scrittore bresciano,
Arturo Marpicati, nel 1953 rende efficacemente l'atmosfera che si
creava intomo a quei grandi tavoli dove tante donne di ogni età
si radunavano a lavorare; si parlava mentre le mani sveltissime
annodavano matasse di filo e scorrevano reti, scorrevano così
anche avvenimenti storie pubbliche e private, trasformando una piccola
piazza, uno slargo, una strada, in un luogo socializzante favorendo
una forte coesione sociale.
La produzione di reti con il passare degli anni cambia, mutano anche
le tecnologie e l'artigiano che ha ormai trasformato il laboratorio
in fabbrica acquista macchinari sempre più nuovi, i materiali
usati non sono più naturali, vi sono filati più resistenti
come il nylon, vengono realizzati prodotti nuovi non più
al solo uso della caccia e pesca, vi sono richieste di reti ad uso
sportivo, protettivo, ricreativo e anche mimetico. Il sapere partito
dalla pesca diventa così un'industria che impone il suo prodotto
a livello internazionale. L'artigiano comincia ad intravedere i
limiti di un'isola sempre più "stretta" e desiderare
il trasferimento sulla terra "ferma" in posti più
comodi per le operazioni di trasporto; così a fine XX°
secolo i retifici cominciano ad allontanarsi dall' "isola delle
reti" e inizia un pendolarismo femminile prima sconosciuto.
Oggi rimangono sull'isola imprese artigianali che puntano su una
particolare specializzazione nel settore delle reti contando sulla
qualità del prodotto e sfidando ancora la concorrenza sui
mercati europei ed extra europei, riescono a mantenere a Monte Isola
una tradizione lavorativa e una risorsa occupazionale importante.
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Peschiera, 1955 |
La tecnologia non ha cancellato il lavoro a
mano con l'ago e il modano (la ocia e il mödèl)
e la specializzazione della manodopera femminile che mantiene una
centralità insostituibile in una storia di lago che continua.
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