Grandi barconi carichi di persone, fino alla metà del 900,
ogni mattina, spinti dal vento o aiutati dai lunghi remi, partivano
dal Porto di Siviano, si dirigevano verso Tavernola, Riva di Solto,
Lovere, Pisogne. Erano i minatori di Montisola che si recavano al
lavoro. Erano quasi tutti di Siviano i grandi naèc che navigavano
in ogni stagione, in tutte le situazioni atmosferiche, portavano
i figli e i nipoti dei costruttori delle gallerie della litoranea
asburgica, della ferrovia Brescia-Edolo a scavare ancora nelle tante
gallerie e cave i della litoranea sebina. II "carico"
era in maggior parte di persone giovani che iniziava qui sul lago
il duro lavoro di minatore, che avrebbe svolto poi per tutta la
vita lontano da casa in situazioni disagiate e pericolose e che
nella maggior parte dei casi per quella sottile polvere che si fermava
sui polmoni, non avrebbe raggiunto la vecchiaia.
Sui barconi non c'erano solo uomini ma bambini di 9 o 10 anni, il
loro compito era quello di girare il cantiere con secchi d'acqua,
portavano da bere agli scavatori, che avevano a disposizione solo
il piccone, oppure correvano a versarla dove serviva ad attenuare
leggermente un pò di polvere, alcuni avevano il compito di
portare gli strumenti a chi preparava le mine, in modo che il lavoratore
non si spostasse mai dal suo posto, non interrompesse mai il lavoro,
venivano pagati con piccole mance settimanali.
I giovani "apprendisti" invece, essendo i più svelti
e agili "davano fuoco alle mine" nei posti più
pericolosi perché correvano più velocemente fuori
dalla galleria dopo aver acceso la miccia. Racconta un'anziana che
aveva il padre e il marito minatori, mentre guarda alcune immagini,
"Quando mia madre sentiva lo scoppio delle mine di Tavernola
la grande cava della Cementifera Sebina per la produzione di calce
e cemento, che in quegli anni si stava sviluppando velocemente era
sempre preoccupata perché sapeva che rischio correva mio
padre in quelle cave. Un giorno tomò a casa molto spaventato,
mentre era appeso ad una parete legato con le corde a preparare
con lo scalpello i fori per inserire l'esplosivo, scoppiò
una mina molto vicino che lo fece staccare dalla parete, tutti pensavano
fosse morto mentre invece si era fatto solo qualche graffio, l'aveva
salvato la Madonna della Ceriola. Il giorno dopo andò subito
da un pittore a Iseo e si fece fare un ex voto e lo portò
al Santuario, era il 1940" e aggiunge con un profondo sospiro,
guardando la sponda Bergamasca, "la Madonna ne ha salvato
tanti in quelle cave!" Poi i ricordi arrivano inarrestabili.
"Anche mio marito aveva cominciato a Tavernola quel mestiere,
poi andò a Genova, che brutta vita facevano, sempre nelle
baracche, lontano da casa. Sempre disposti a fare i mestieri più
pericolosi per guadagnare qualcosa di più."
Dal lago la maggior parte degli scavatori nel dopoguerra era andata
a lavorare a Genova, c'erano rifugi e tunnel da scavare e tutto
da ricostruire. Alcuni si portarono anche la famiglia, altri vivevano
nelle baracche dei cantieri, erano quasi tutti nella stessa ditta,
insieme avevano costituito sul mare la loro piccola isola lacustre.
Il contatto con le famiglie si svolgeva per lettera, quando qualcuno
tornava da casa portava notizie, lettere, alimenti nostrani e tutti
ritrovavano una parte della "loro isola".
Bastano poche immagini per risvegliare tante storie interessanti
di sopravvivenza dei minatori di lago, eroi silenziosi, protagonisti
di una storia piena di solidarietà e socialità distante
da noi solo due generazioni, che ha lasciato tante testimonianze
materiali ma pochissimi protagonisti a raccontarla e per questo
ancora più importante da conoscere per capire il proprio
territorio in profondità.
|