Tra il lago e l'uomo c'è un rapporto che risuona di echi
lontani, è possibile cercare di capire questo rapporto osservando
queste vecchie immagini, esse richiamano strumenti, attrezzi, utensili
e momenti della vita quotidiana, che rappresentano le complesse
e vincenti risposte culturali date ad un ambiente lacustre apparentemente
tranquillo ma molto difficile quando si trattava di entrare in sintonia
per strappargli cibo e vita.
Laghi, stagni, fiumi e paludi coprivano millenni fa, quando la Pianura
Padana era un immenso acquitrino inabitabile, gran parte del territorio
italiano.
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I fiumi scorrevano selvaggi ma sui bordi dei
laghi prealpini molte strisce di terreno si prestavano ad una agricoltura
rudimentale. Per la comunità che vivevano su quelle zone
umide, la pesca era un'attività complementare all'agricoltura;
è sui bordi dei laghi che si sviluppa un'economia mista di
raccolta e coltivazione. La vita sui territori lacustri era più
facile anche perchè le rive erano in gran parte ricoperte
dal canneto che oltre ad essere uno strumento difensivo e sicuro
si prestava a mille usi: stuoie, coperture per le palafitte, aste
per le frecce. Il pesce allora abbondante era facile da catturare
in tutte le stagioni, oltre che con le mani, con mezzi rudimentali:
arpioni fatti con legni appuntiti, nasse di giunco, reti intrecciate
con vegetali. Qui nasce l'attività più antica che
l'uomo ha esercitato, la pesca, è qui che i suoi semplici
atterrai si trasformano in intelligenti risposte culturali che gli
permettano di vivere stabilmente in questo ambiente.
L'uomo inquieto e curioso, si spinge e prosegue verso il fiume,
i primi traffici avvengono tramite imbarcazioni scavate in enormi
tronchi, il lago diventa l'epicentro di un commercio che parte dal
fiume e arriva al mare e nel tempo si arricchisce di nuovi contenuti
senza mai dimenticare gli attori principali: i pescatori.
Fino alla rivoluzione delle ferrovie nel secolo scorso, le grandi
distanze con merci pesanti potevano essere trasportate solo via
acqua; fondamentale strumento di questo movimento è stato
"il barcù" del Lago d'Iseo, con la sua tipica
velatura quadrata o rettangolare, il grande timone laterale, ideato
in questa maniera per sfruttare i due venti principali, che vanno
rispettivamente, il vét da Nord verso Sud di notte
e l'ora il pomeriggio da Sud verso Nord. Questa grande barca,
come per quella più piccola da pesca, il naèt,
sono ideati con una tecnica di costruzione marittima.
Diversamente da molte imbarcazioni dei laghi interni che sono uno
sviluppo concettuale della zattera a cui vengono applicate le sponde
laterali, il barcù, e il naèt si costruiscono
a partire dal bordo superiore piegando i legni con tecniche sapienti
e applicandovi poi il fondale piatto. Un'idea costruttiva complessa
che arrivava da molto lontano. Gli studiosi del settore fanno risalire
all'alto medioevo questo modo di costruire delle barche; mentre
la vela quadrata in particolar modo annodata allo stile dei pescatori
e barcaioli sebini, si ritrovava nelle miniature di epoca carolingia
e gotica. Il timone laterale era in uso nelle acque interne nordiche
nel XII secolo.
Una storia molto antica quindi quella del lungo e affusolato naèt
che offriva al pescatore la possibilità di compiere lunghe
distanze e di essere in continuo movimento sull'acqua molto profonda
per raggiungere spazi di pesca lontani dalla propria zona.
Il naèt, può essere definito il ritratto del
nostro microambiente, la fine risposta adattiva di tutte le genti
del lago, tanto ingegnoso da essere esposto a Londra nel museo della
navigazione.
Nell'evoluzione del pescatore che ha trasformato il lago in uno
spazio domestico, ogni giorno si aggiungeva una piccola e ingegnosa
scoperta. Astuzie e fatiche prima nell'ambiente più facile
del canneto dove pescare con fiocine e semplici nasse sempre più
perfezionate, poi la rete, una straordinaria invenzione degli
albori della nostra avventura lacustre, una sottile astuzia del
pescatore che gli avrebbe garantito la sopravvivenza.
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Sensole 1920 |
Il legame della rete con la pesca diventa indissolubile quando il
pescatore abbandona l'amo e si appropria di questo strumento che
diventerà cultura del lago, raggiungendo livelli sempre più
alti. La quantità e la qualità del pesce pescato dipenderanno
essenzialmente dal tipo di reti, sempre più complesse, fatte
prima di cotone, canapa, lino, seta, poi la rivoluzione delle fibre
sintetiche.
Barca, rete, pesca, pescatore, un legame indissolubile per
i "lupi di lago" che ogni stagione con le loro affusolate
barche, in qualsiasi situazione climatica si spingono sul lago.
Il loro viaggio inizia da Peschiera, Sensole, Carzano, alcuni anche
dal porto di Siviano, il territorio di pesca è vastissimo,
hanno il vantaggio che partendo da Montisola, situata nella parte
centrale del Lago d'Iseo, con il vento a giusto sarà possibile
spostarsi in qualsiasi punto del lago. La barca, quasi sempre legata
al palo vicinissimo all'uscio di casa, è pronta, ci sono
grossi mucchi di reti avvolti in consumati pezzi di iuta
annodati con quattro lembi degli angoli, c'è il palèt,
con il quale si spalerà l'acqua sempre presente sul fondo,
ol suì, il mastello di legno dove si deporranno le
reti bagnate, la càagna - càagnöla, cesta
di vimini dove mettere il pesce pescato, il guadì,
per recuperare il pesce impigliato nelle reti, l'ancurina,
una piccola ancora per recuperare le reti. A volte il pescatore
è solo, la zona di pesca in cui è diretto è
lontana, tornerà domani, allora, sulla barca con le reti
si porta il balì, un giaciglio di crine, arrotolato
sulla poppa per riposare alcune ore la notte se il tempo e il vento,
lo permetteranno.
Molte volte il pescatore è in compagnia di un figlio che
fin dalla più tenera età inizia alle segrete tecniche
della pesca, oppure c'è il fratello o un compagno che dividerà
per tutta la vita le fortune e le sfortune di questo duro lavoro.
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Pesca con la regagna, Carzano
1940 |
In alcune occasioni, si pescava anche in gruppi
con tre o quattro barche, si trattava delle mitiche pesche con la
regàgna, una grandissima rete a strascico che date
le sue dimensioni non poteva essere manovrata e difficilmente anche
se posseduta dalla sola coppia dei pescatori. Si trattava di una
rete di cotone alta 40 o 60 metri e lunga anche fino a 600 metri,
asciutta pesava 4 quintali, veniva chiamata anche bastarda,
per la faticosità del suo uso, il galleggiamento era assicurato
da centinaia di grossi turaccioli di sughero, le féngole,
veniva calata in acqua descrivendo un largo semicerchio che si sarebbe
poi chiuso con grande fatica, tirando le corde di cima e di fondo,
la rete trascinava così dal grande perimetro di lago occupato,
tutti i pesci che trovava lungo il suo percorso. Potevano essere
pesche molto fruttuose, oppure tanta fatica e lavoro potevano risultare
inutili.
Nei giorni attesi e sicuri delle freghe, la stagione degli
amori del pesce, quando a branchi si avvicina alle rive, àole
e sardine riempivano le barche e la strada, erano giorni di lavoro
per tutta la famiglia. Sulla barca tutti i componenti della famiglia
aiutavano a togliere dalla rete le piccole e abbondantissime alborelle,
poi si allargavano sulle grandi tavole di legno costruite sapientemente
a graticcio, le arèle, per far circolare l'aria tra
il pesce messo ad essicare al sole.
Queste grandi tavole venivano disposte nella piazzetta e lungo le
strade del paese, generalmente era il nonno che aveva il compito
di seguire la buona riuscita di questa delicata operazione, passava
e ripassava con la mano il piccolo pesce per fare in modo che l'essicatura
fosse omogenea, spostava le tavole seguendo il sole, le copriva
durante la notte fino a che trasformate al sole in leggeri e argentei
bastoncini potevano essere messi in un sacco e vendute sui mercati.
Le sardine richiedevano una lavorazione più lunga e accurata
tolte dalle reti, dovevano essere pulite, lavate e lasciate per
un giorno sotto sale, poi venivano rilavate e appese a gancetti
fissati su un'apposita intelaiatura di legno, disposte in file parallele
fino a riempire tutta l'intelaiatura, molti li disponeva molti li
disponevano sugli archetti, archèc, rami di frassino
o carpino che venivano piegati ad arco e tenuti in tale posizione
da un filo teso all'estremità. Altri fili paralleli occupavano
tutto lo spazio dell'arco; in questi veniva infilato o appeso il
pesce. Dopo 8 o 10 giorni il pesce secco veniva stivato con arte
in contenitori, pressato e separato dall'aria da uno strato di olio.
Dopo qualche mese le sardine diventano color oro e allora erano
commestibili, si cucinavano rigirate sulla brace, condite e mangiate
con la polenta.
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Sensole 1920 |
Questo metodo di conservazione del pesce che
risale forse ai pescatori che un millennio fa pescavano per il Monastero
di Santa Giulia di Brescia, è attuale ancora oggi, rappresenta
una grande e originale risposta alla sfida del lago del pescatore
che per risolvere all'esigenza di conservare il pesce, ha saputo
ideare un piatto che è risultato una grande trovata culturale
dei lupi di lago.
Molte le battaglie combattute da questi sconosciuti eroi nella loro
lotta per difendere il lago. I documenti raccontano quando nell'anno
1481 cominciò la lite dei pescatori poveri contro la corporazione
dei pescatori ricchi che pescavano con grandi reti a strascico dannose
per il lago e compromettenti per il futuro della pesca; i pescatori
poveri riuscirono anche a mandare un loro rappresentante a Venezia
per sollecitare l'intervento della Repubblica. Molte le testimonianze
nel '600 e nel 700 nei carteggi inviati al Senato veneto dai "poveri
abitanti delle terre di Peschiera, Monte d'Isola e Siviano posti
in una isoletta del lago d'Iseo costretti per sostentamento delle
loro povere famiglie ad attenersi giorno e notte a pescare..."
sulla possibilità di ampliare i loro confini lacustri verso
i territori della Valle Camonica, sul rispetto delle reti e delle
barche. Gabriele Rosa segnala, nella sua storia del lago d'Iseo,
che "il 20 giugno 1717 a Peschiera del lago d'Iseo si tenne
assemblea generale di capi famiglia, nella quale con voti 31 su
37 si deliberò di insistere presso il Senato di Venezia perché
esclusi i tempi quaresimali, fosse fatta eseguire la proibizione
dell'uso delle reti dette-rini-bozzere-saccole-introie saccolotti".
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Sensole 1905 |
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Pesca con la "Bidina"
1905 |
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Queste lunghe questioni si trascinarono anche
nell'ottocento e nel '900. Si legge in un esposto, firmato da oltre
80 pescatori di Peschiera datato 20 novembre 1942, "I sottoscritti
pescatori fanno presente che il mese di giugno viene esercitata
sul lago da parte di alcuni pescatori la pesca con reti proibite,
ciò causa una distruzione del pesce persico e delle alborelle...".
Questo dimostra come il lago per il pescatore sia sempre stato uno
spazio sentito proprio, familiarizzato e controllato, uno spazio
amato e troppo importante per essere distrutto.
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Pescatori con la regagna,
1910 |
Oggi i pescatori continuano a diminuire, a Montisola,
dove vivevano comunità di pescatori, sono rimasti dei "superstiti"
e in gran parte dei paesi sulla sponda Sebina sono definitivamente
scomparsi.
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Pesca con la regagna, Loc.
Isola di S.Paolo, 1905 |
La professione del pescatore non è facile,
non si può improvvisare, non fa intravedere grossi guadagni,
inoltre bisogna conoscere ed amare il lago, vivere in simbiosi con
esso e soprattutto difenderlo.
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Peschiera 1929 |
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Peschiera 1938 |
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Il pescatore "moderno" esce a pescare
anche da solo, tutte le reti a strascico sono state abolite, quelle
in uso, altane, altaline, pale, palette, da posta o da cacciata,
sono molto leggere e di materiali sintetici che non hanno bisogno
di molte manutenzioni, eppure sono quasi tutti anziani colore che
non riescono a staccarsi dal naèt e dal forte richiamo dell'acqua
dolce.
Questa situazione mette in pericolo un importantissimo patrimonio
culturale fatto di linguaggi, tecniche e attrezzi che se non verrà
rivitalizzato l'interesse per questa professione e farla amare da
nuove forze giovanili, si rischierà di racchiuderla nelle
interessanti foto d'epoca.
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