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Siviano porto 1930 |
La barca, su un'isola era oltre che un prezioso
strumento di lavoro, l'indispensabile collegamento per la "terra
ferma". Fu sicuramente questa vitale esigenza che trasformò
alcuni pescatori in esperti maestri d'ascia, è ad essi che
la tradizione fa risalire il famoso ideatore del naèt,
la mitica e intramontabile barca da pesca.
I piccoli cantieri di Peschiera costruivano naècc,
utili, oltre che per la pesca, per il trasporto merci, su tutto
il lago.
Dai documenti si legge che nel '700 questi esperti artigiani erano
già famosi in tutta la provincia, l'Estimo li indica come
gli unici che svolgevano questo lavoro sul lago; si chiamavano Archetti,
lo stesso cognome degli artigiani che continuano la tradizione ancora
oggi. La forma lunga e affusolata di questa barca che ricorda la
gondola veneziana, rivela non del tutto infondata la leggenda di
un certo Archetti approdato un giorno a Montisola con disegni rubati
dai cantieri veneti, e che ideò una gondola riadattata all'acqua
dolce da usarsi sia per lo spostamento, che per la pesca.
Gli studi ancora in corso sui metodi di costruzione rivelano che
le tecniche usate, soprattutto nella preparazione dello scheletro
e nella tracciatura delle sezioni trasversali, richiamano il metodo
usato particolarmente nella laguna veneta dimostrando così
che, sul
lago d'Iseo, si sono tramandati alcuni criteri pratici degli architetti
navali antichi, dalla tradizione bizantina fino al Rinascimento
a Venezia.
La prima fase di costruzione avviene con la preparazione della cinta
(ol curdù), cercando di usare un legno già
curvo, tagliandolo successivamente a metà e applicandovi
poi la carena di prua (ol delfì), di poppa (spècc).
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Peschiera 1955 |
Tenendo conto delle sezioni di riferimento (maestre
e quarti), dei dritti di prua e poppa, vengono inchiodate le
ordinate. Un naèt è composto da un numero di ordinate
(galiurne) che varia da 22 a 28. Finita l'orlatura la barca
viene capovolta e messo il fasciame. A lavoro quasi ultimato quando
l'interno e già rifinito e calafatato, viene applicato il
fondo piatto, costituito da tavole (söi), alcune delle
quali mobili, come l'asse del pagliolo, (l'às dèl
pér), un accorgimento per motivi di sicurezza, spalare
l'acqua mentre uno dei due rematori continua a remare e anche nascondiglio
utilizzato dai pescatori per nascondere il pesce pescato di frodo.
Lo scalmo, (galiurnì), è sormontato da una
grossa punta di ferro battuto, (la fùrcola),
alla quale si appoggia il remo con lo stroppo (ströss).
Il legno usato per la costruzione del naèt è il castagno
per l'intelaiatura, il larice per le altre parti. I remi sono di
castagno e sono costituiti da due pezzi, il bastone e la pala uniti
fra loro da un anello di ferro (éra).
Questa barca ha avuto poche modifiche nel corso dei secoli, la più
evidente è stata fatta nel 1958 per l'introduzione del motore
e per poter raggiungere un equilibrio stabile a pieno carico, la
poppa venne accorciata di 50/60 centimetri, questo modificò
la lunghezza tradizionale che era di 7 metri e portò ad una
leggera variazione anche la larghezza che si restrinse di qualche
centimetro. La larghezza massima di un naèt oggi è
di metri 1,47.
Lo stesso metodo di costruzione è impiegato anche per le
barche più grandi, naf o barcù, che
montavano stabilmente una vela rettangolare alta e stretta, tipica
dell'area prealpina e padana la cui origine può essere ipotizzata
in età romana.
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Barca da trasporto "Genova",
1935 |
Queste leggendarie barche dal timone laterale,
che trasportavano ogni tipo di mercé lungo tutto il lago
collegando la pianura alla Valle Camonica, le possiamo vedere oggi
solo attraverso queste belle immagini d'epoca che i parenti dei
barcaioli hanno gelosamente conservato. Questo scambio commerciale
fra nord e sud del lago, fu molto intenso fino al 1907 anno in cui
entrò in funzione la linea ferroviaria Brescia-Iseo-Pisogne;
fino allora ogni comune lacustre aveva i propri barconi per il trasporto
delle merci sul lago. Agli inizi del secolo scorso se ne contavano
16 a Lovere, 15 a Tavernola, 12 a Sarnico, 10 a Pisogne, 8 a Iseo,
4 a Predore, 3 a Vello, 3 a Riva, 3 a Monte Isola, 2 a Marone, 1
a Sulzano, 1 a Clusane. Il tipo medio, con una portata di 300 quintali,
aveva una lunghezza di metri 18,50, una larghezza di metri 4,50;
la vela aveva una superficie di mq.96, l'albero era alto metri 15.
Queste grandi naf, venivano costruite prevalentemente nei cantieri
Archetti di Peschiera, e alcune a Predore e Samico.
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Il barcaiolo "Tone",
Peschiera 1956 |
Tenendo conto oltre che dei metodi di costruzione,
dei tanti particolari come l'ornamento della prua (matutì),
lo scalmo (ströss), il timone laterale (timù),
i termini linguistici delle varie parti costituiscono l'imbarcazione,
si possono collocare il naèt e la naf, cronologicamente nell'alto
Medioevo.
Queste vecchie foto, ci mostrano anche un altro tipo di barca indispensabile
a Montisola ma in uso anche negli altri paesi sul lago quando mancavano
alcune strade di collegamento, la lancia, utilizzata dai
barcaioli per il trasporto delle persone. Sempre costruita sul principio
del naèt ma con il fondo più largo e una panchina
lungo i fianchi per far sedere i passeggeri.
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Costruzione del Naèt
da parte di Decio nell'omonimo cantiere, Peschiera 1970 |
La differenza rilevante rispetto al naèt
consisteva negli archi (arcù), di legno o ferro, che
inseriti nelle ordinate fra la fiancata destra e sinistra, sormontavano
la parte centrale della barca, coperti da un telo riparavano dalla
pioggia. Quando si percorrevano distanze lunghe anche su questa
barca veniva issata la vela.
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Piroscafo "Commercio",
Siviano 1915 |
Oggi a Montisola sono ancora in funzione due
cantieri nautici, imprese artigianali, hanno sempre il cognome del
capostipite Archetti, sono sempre esperti maestri d'ascia e continuano
ad usare ancora solo semplici strumenti, martello, scalpello, ascia,
pialla; costruiscono bellissime barche di legno, dinghi, gozzi,
lancette, dingotti, interamente mano. La produzione dei naècc
si limita a qualche esemplare poichè la richiesta dal mondo
della pesca mancando i pescatori è ridottissima. Ultimamente
si è chiuso il cantiere situato al centro di Peschiera dove
l'ultimo calafato Decio Archetti che continuava alla quarta generazione
la costruzione di barche da pesca se n'è andato.
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Porto di Siviano, anni '20 |
Era un vero artista nel suo lavoro, orgoglioso
della sua tradizione aveva partecipato alla costruzione degli ultimi
grandi barcù da trasporto merci che a Montisola rimasero
in funzione fino agli anni 60. Ricordava volentieri quei periodi
di grande lavoro quando il rumore degli scalpelli dei calafati si
sentiva sui monti di Sulzano, "si cominciava all'alba, si finiva
la sera, (raccontava) era un mestiere che richiedeva abilità
e fatica e saper usare scalpello e mazzuola come un artista con
la mano sicura e leggera. Bisogna inserire la stoppa filata con
la pece tra le fessure in modo che l'acqua non potesse mai entrare,
ora lavoro da solo, ma allora nei grandi barconi eravamo anche in
dodici, siccome avevamo sempre sete e ci portavano sempre acqua
mentre avremmo voluto qualche volta anche il vino, dicevamo a chi
portava acqua: se acqua date a questo scalpello sempre farà
acqua questo vascello". Con la scomparsa di questo grande artigiano
si è chiuso un importante museo pieno di testimonianze della
nostra storia lacustre, rimangono da guardare queste interessanti
immagini di un importantissimo lavoro.
Le immagini ci mostrano sulla barca un'altra figura importante del
lago, il barcaiolo, mestiere scomparso definitivamente.
Esperti conoscitori del lago, del vento, delle possibilità
di approdo, i barcaioli passavano la loro vita sull'acqua viaggiando
in ogni stagione con qualsiasi vento.
La professione e la barca erano un'eredità tramandata da
padre in figlio.
Vi erano due categorie di barcaioli, quella adibita al trasporto
delle merci pesanti, che manovrava le grandi naf; avevano percorsi
e merci fisse da trasportare. Erano sempre tre persone a condurre
le grandi barche, in genere membri della stessa famiglia, dormivano
sulla barca nel ripostiglio dei teli e della vela (il casòt),
mangiavano a terra durante la sosta fra carico e scarico. Questi
barconi sempre esageramene carichi che viaggiavano sempre a gonfie
vele a volte dovevano sostare ore e ore per aspettare il vento giusto.
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Giosué arriva a Siviano
da Iseo, anni '30 |
L'altra categoria di barcaioli quella in cui
erano specializzati a Montisola, trasportava persone e merci leggere.
Avevano barche più piccole le loro direzioni erano i collegamenti
Peschiera-Sulzano, Carzano-Sale Marasino, Sensole-Iseo e il Porto
di Siviano-Iseo.
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Giosué |
Le immagini mostrano le leggendarie figure di
questi barcaioli montisolani, sempre sicuri nel loro lavoro, silenziosi
con lo sguardo sempre fisso sull'acqua, barometri sicuri del lago.
"Il mio barcaiolo è uno di quei saggi che lavorano
in pace dalle prime luci dell'alba al tramonto coltivando il silenzio
pur urgenti che siano le commissioni, non s'affanna mai a correre
veloce, l'ala dei suoi remi non è mai folle, bensì
di un ritmo calmo e costante. È come inchiodato alla sua
barca tra il lieve monotono grillettar delle onde contro gli scogli
piccolo secco e curvo come spezzato in due dai settant'anni e più
di quotidiane remate." Così lo scrittore Arturo
Marpicati descrive il barcaiolo Giosuè che trasportava persone
e carichi leggeri dal Porto di Siviano a Iseo.
Erano tutti personaggi caratteristici che si trovavano a proprio
agio solo sull'acqua. Era un mestiere non esclusivamente maschile,
il trasporto delle persone veniva svolto anche da Barcaiole, le
ultime a solcare le acque nelle tratte di collegamento di Montisola,
furono, Cecca, Agnese, Adelaide, continuarono questo lavoro fino
all'introduzione dei battelli traghetto, esse avevano iniziato la
loro professione sulle barche a remi, poi continuato con il motore.
E anche questa epopea lacustre oggi rivive in queste immagini documento.
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Giosué e la sua barca |
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